
#6: Verso una città di oggetti o di contesti?
Si dice che per un film ci vogliono le stelle, ma scientificamente le stelle vengono da lontano e noi ne percepiamo la luce solo dopo molto tempo. Le star del cinema sono la stessa cosa, rappresentano una luce, che è già passata”. Così Jean-Luc Godard in una conferenza a Cannes nel 1990. Si può dire lo stesso dell’architettura, se si identifica con le sue stelle (o “archistar”) portatrici di una luce già passata? E si può ugualmente dire della città, se si immedesima nei centri luminosi, nelle attrazioni simboliche, nelle icone meravigliose? “D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”, diceva Marco Polo (alias Italo Calvino) a Kublai Kan. Le città ci parlano, rispondono – sono “knowledge partner”, sostiene Saskia Sassen – ma anche ci interrogano e ci obbligano a risposte che vogliono un grande sforzo di immaginazione comune e condivisa, e che sappia escludere, dalle città immaginate, “quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso” (sempre Calvino). Insomma una visione: partecipata (mica solo dalle stelle), intelligibile e soprattutto contestuale. Come costruirla? Con quali conoscenze e strumenti collettivi?