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#5: Quale nuovo contratto sociale urbano?

Il 26 settembre scorso, a Berlino, un referendum ha rievocato una parola inaspettata (quasi indicibile): esproprio! Il 57% dei cittadini berlinesi ha votato per l’acquisizione pubblica di oltre 240 mila alloggi di grandi gruppi immobiliari – tenuti vuoti – per rimetterli a disposizione a prezzi calmierati, e aggredire una “piaga” che affligge molte città europee. Qualche mese fa, da un altro punto di vista, Saskia Sassen e Carlo Ratti scrivevano: “Chiunque possieda un patrimonio immobiliare in città non deve lasciarlo vuoto”, chiamando a un “dovere” nei confronti di città spesso svuotate dal lascito della pandemia e della vita in remoto in molti spazi esistenti, da colmare con nuovi abitanti e attività. Due casi con prospettive diverse ma una premessa comune: affrontare il costo sociale del vuoto, e il primato del capitale finanziario su quello “vivente”. Tuttavia, finanziario (anche) rimane il nodo: nel primo, compensazioni stimate tra 7 e 36 miliardi di euro, una forbice enorme e un cammino legale irto di ostacoli; nel secondo, leva fiscale e strumenti tutti da ripensare. Eppure, non è tempo di radicali ripensamenti? Si può ancora dire, con Jan Gehl: “First life, then spaces, then buildings – the other way around never works”?