
#10: Quali margini tra artificio e natura?
Una città densa e solida, dura come pietra e dai confini netti, è il modo più onesto di preservare la natura? Così sostiene Magnago Lampugnani sulla rivista Domus, non in modo così semplice, ma detta così sembra una provocazione rispetto al desiderio di mescolare l’artificiale urbano con masse e interstizi vegetali, un desiderio diffuso da tempo che durante il Lockdown è diventato anelito vitale, se non fantasia di fuga: in campagna, come minimo. Ma quale campagna? Essa stessa è paesaggio artificiale, astratto, e non da ora. “Mondrian, pittore realista”, scriveva Ennio Flaiano nel 1958, poiché i suoi quadri sembravano riprodurre l’Olanda com’è realmente: “Strade, canali, dighe…”, linee cartesiane del paesaggio. Del resto “gli olandesi rendono astratto il formaggio dipingendolo di rosso”. E oggi è ancora un olandese, per quanto cosmopolita, a occuparsi di “countryside” globale con lo stesso sguardo che fa saltare qualsiasi margine. Ma allora non abbiamo vie di fuga? Sarà per questo che inglobare la “natura” nelle città ci sembra una soluzione? In parte sì, ma non dovremmo, prima di tutto, lasciare la natura in pace il più possibile? E ripensare radicalmente la disciplina del progetto urbano?