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#1: Non c’è alternativa?

È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” scriveva Mark Fisher in un recente libro molto dibattuto, una difficoltà riconosciuta anche da chi – come Pietro Modiano – ha le proprie radici nella storia del PCI e nel pensiero cristiano: “Siamo noi, boomer e affini, che abbiamo sempre di più creduto che il progresso sarebbe stato continuo e inarrestabile, tenendo lontana l’idea della crisi catastrofica: la catastrofe non sarebbe mai arrivata”. La crisi del 2008 ne aveva tutte le caratteristiche, perché colpiva alle fondamenta un modello costruito sulla perfezione naturale del mercato, eppure, “proprio perché il modello narrativo ed economico ci piaceva così tanto, è stata completamente rimossa. Proprio perché le classi dirigenti, quasi tutte composte da persone della mia generazione, sono cresciute e allevate da un orizzonte di senso unico e indiscutibile: che a questo modello di sviluppo non c’è alcuna alternativa”. È (quasi) unanimemente riconosciuto che questa crisi e pandemia è anche frutto di quel modello. Ma forse abbiamo bisogno di nuovi concetti, nuove parole, un nuovo vocabolario? Saranno le nuove generazioni a indicare una strada diversa?