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#9: Dobbiamo essere assolutamente globali?

Nella sua fase più acuta il virus ha rafforzato alcuni margini intesi come linee di separazione, fino ad accendere un dibattito sulla crisi della globalizzazione e la rinascita dello Stato-nazione. Tuttavia, per l’antropologo Arjun Appadurai l’idea di una “globalizzazione in terapia intensiva” è illusoria: la sovranazionalità dei flussi non è comprimibile nei confini degli stati. Né la scienza e la tecnologia possono avere successo senza essere globali (che vuol dire sì competizione ma anche collaborazione). Un effetto sensazionale della pandemia, come ha notato Henry Chesbrough (ideatore dell’Open Innovation), è stato l’immediata mobilitazione di scienziati, aziende e organi governativi a condividere i saperi a disposizione per testare in parallelo possibili vaccini. Così il paradosso è che mentre eravamo chiusi, allo stesso tempo eravamo globalmente aperti. Ora, dopo l’emergenza medica è il turno dello spazio, della città e dei suoi luoghi. E il luogo della sfida, nelle città, sono sempre stati i margini, mai il centro: i quali oggi ci pongono nuovi interrogativi a tutte le scale. Come essere altrettanto globali e collaborativi per affrontare le sfide delle nostre città, dei nostri spazi pubblici, dei nostri alloggi? Come ripensarne i confini?